Tenebre e Ossa: Le citazioni più belle di Kaz e Inej dalla duologia di Sei di Corvi20 min di lettura —

Tenebre e Ossa: Le citazioni più belle di Kaz e Inej dalla duologia di Sei di Corvi — 20 min di lettura —

C’era chi li amava prima che Netflix producesse Tenebre e Ossa (qui la nostra recensione: Tenebre e ossa funziona quando in scena ci sono i corvi), c’è chi se n’è innamorato dopo aver visto la serie TV, ma quel che è certo è che, se il mondo è diviso tra Darklina e Malina, Kaz e Inej mettono tutti d’accordo.

Ecco allora le citazioni più belle tratte dai romanzi Sei di Corvi e Il regno corrotto, di Leigh Bardugo.

Kaz e Inej: Le citazioni più belle di Sei di Corvi

I

Lui non la vide andar via, percepì solo la sua assenza. Kaz, irritato, scrollò la testa. Se avesse detto che si fidava di Inej l’avrebbe sparata grossa, ma a se stesso poteva ammettere che era arrivato a farci affidamento.

II

Lui le rivolse un gran sorriso, improvviso e impetuoso come un tuono, gli occhi neri come il caffè amaro. «Saremo re e regine, Inej. Re e regine.»

«Mmh» fece lei in modo evasivo, fingendo di esaminare uno dei propri pugnali, determinata a ignorare il sorriso di lui. Kaz non era tipo da sorridere a vanvera e fare progetti con lei. Era un giocatore pericoloso che aveva sempre un secondo fine. “Sempre” ricordò a se stessa con fermezza.

III

Inej distolse lo sguardo e sistemò una pila di fogli sulla scrivania mentre Kaz si levava gilè e camicia. Non sapeva se essere lusingata o offesa dal fatto che lui nemmeno considerasse la sua presenza.

IV

Furono le mani ad attrarre la sua attenzione nel momento in cui lui si sfilò i guanti di pelle e immerse un panno nel catino. Kaz si toglieva i guanti solamente nelle proprie stanze e, per quel che ne sapeva, soltanto davanti a lei.

V

(…) si sfregava il panno sotto le ascelle e sui muscoli tesi del petto, con l’acqua che gli scorreva lungo il torso.

“Per tutti i Santi” pensò Inej mentre le guance le prendevano fuoco. Aveva perso quasi ogni senso del pudore ai tempi della sua permanenza nel bordello del Serraglio, ma c’era un limite a tutto. Cosa avrebbe detto Kaz se lei si fosse spogliata all’improvviso e avesse preso a lavarsi di fronte a lui?

VI

Il minuto prima la faceva arrossire, quello dopo le faceva venir voglia di ucciderlo.

VII

Si guardò alle spalle e disse: «Per favore, mia cara Inej, tesoro del mio cuore, vuoi farmi l’onore di acquistarmi un cappello nuovo?».

VIII

Nina aveva percepito della convinzione nella voce di Inej. «Ti ha liberata dal Serraglio?»

«Non c’è libertà nel Barile, solo condizioni migliori di altre. (…) Kaz ha convinto Per Haskell a pagare per il mio riscatto. Sarei morta al Serraglio.»

«Potresti ancora morire, con gli Scarti.»

Gli occhi scuri di Inej avevano scintillato. «Potrei. Ma morirei in piedi con un pugnale in mano.»

IX

“Questa volta, mi dovrà porgere le sue scuse” decise. “E non salirò a bordo della nave finché non le avrò. Se Kaz non è veramente dispiaciuto, può fare finta. Mi deve almeno la sua migliore imitazione di un essere umano.”

X

Che i Santi mi accolgano. Spinse la punta dello stiletto sotto il seno, tra le costole, come una freccia verso il cuore. Poi una mano le afferrò in malo modo il polso, costringendola a lasciar andare la lama.

«Non è ancora il momento, Inej.»

Pietra che sfregava contro pietra. Spalancò gli occhi. Kaz.

Lui se la caricò in spalla e saltò giù dal cassonetto, atterrando bruscamente, con la gamba malandata che cedette. Lei gemette quando toccarono terra.

«Abbiamo vinto?»

«Sono qui, no?»

Stava correndo. Il corpo di Inej sobbalzava dolorosamente contro il fianco di Kaz a ogni passo barcollante. Non poteva portare lei e usare il bastone allo stesso tempo.

«Non voglio morire.»

«Farò del mio meglio per trovarti un’altra soluzione.»

Lei chiuse gli occhi.

«Continua a parlare, Spettro. Non sparire.»

«Ma è quello che so fare meglio.»

Lui la strinse più forte. «Cerca solo di arrivare alla goletta. Apri quei dannati occhi, Inej.»

XI

«Sei tornato a prendermi.»

«Io proteggo i miei investimenti.»

XII

Il dolore alla gamba di Kaz era terribile, il peggiore che avesse sofferto da quando se l’era spezzata precipitando dal tetto di una banca vicino alla Geldstraat. Era possibile che si fosse di nuovo fratturato l’osso. Il peso di Inej non aiutava, ma quando Jesper si avvicinò per dargli una mano, Kaz lo spinse via.

(…) «Togliti di mezzo» disse Kaz, e si precipitò superandolo giù per la rampa di scale che portava sottocoperta.

XIII

« (…) Kaz mi ha detto… ha detto che spettava a me scegliere, che non sarebbe stato lui a marchiarmi di nuovo.»

Eppure lo aveva fatto, a suo modo, malgrado le migliori intenzioni. Provare qualcosa per Kaz Brekker era la follia peggiore. Lei lo sapeva. Ma era stato l’unico a salvarla.

XIV

Quando raggiunsero il ponte a poppa, Inej si appoggiò al parapetto e guardò l’orizzonte. «È mai venuto a trovarmi?»

Jesper sapeva che si stava riferendo a Kaz. «Tutti i giorni.»

Inej posò gli occhi scuri su di lui, poi scrollò la testa. «Non sai capire le persone, e non sai bluffare.»

Jesper sospirò. Detestava deludere la gente. «No» ammise.

XV

«Voglio dire, è stato difficile per lui starti vicino a quel modo. Il giorno in cui sei stata ferita… ha un po’ perso la testa.» Gli costò caro riconoscerlo. Kaz si sarebbe trasformato in un simile cane rabbioso se fosse stato Jesper quello con un pugnale piantato nel fianco?

XVI

«Kaz è… Non lo so, è diverso da chiunque abbia mai conosciuto. Mi stupisce sempre.»

«Sì. Come un nido di api nel cassetto del comò.»

Jesper rise forte. «Esattamente.»

«E quindi cosa ci facciamo qui?»

Jesper voltò le spalle al mare, con le guance che gli scottavano. «Puntiamo al miele, direi. E preghiamo di non essere punti.»

Inej diede un colpetto con la spalla a quella di lui. «Perlomeno siamo in due a fare la stessa sciocchezza.»

XVII

«Lo sai che posso farcela, Kaz, e sai che non mi tirerò indietro. Allora perché me lo chiedi?»

Perché sono due giorni che cerco una scusa per parlarti.

XVIII

Lui girò la testa. Erano seduti vicini, con le spalle che quasi si toccavano. Gli occhi di lei erano così scuri, quasi neri, e per una volta aveva i capelli sciolti. Li portava sempre tirati indietro in uno chignon legato stretto.

Persino l’idea di essere così vicino a qualcuno avrebbe dovuto fargli accapponare la pelle. Invece pensò: “Cosa succede se mi avvicino ancora di più?”.

«Non voglio le tue preghiere» disse lui.

«Che cosa vuoi, allora?»

Gli vennero in mente le solite, vecchie risposte. Soldi. Vendetta. La voce di Jordie nella mia testa che tace per sempre. Ma una risposta nuova, diversa, ruggì dentro di lui, forte, insistente, e indesiderata. Te, Inej. Voglio te.

XIX

Odiava l’idea che Inej l’avesse visto conciato a quel modo, che chiunque potesse averlo visto, ma sulla scia di quel pensiero ne arrivò un altro: “Meglio che sia toccato a lei”. Sapeva fin dentro le ossa che Inej non ne avrebbe mai fatto parola con nessuno, che non avrebbe mai usato quell’informazione contro di lui. Lei faceva affidamento sulla sua reputazione. Non l’avrebbe mai fatto apparire debole. Ma c’era qualcosa in più di quello, vero? Inej non l’avrebbe mai tradito. Lui lo sapeva. Kaz si sentì male. Anche se le aveva affidato la propria vita un’infinità di volte, era molto più spaventosa l’idea di affidarle questa vergogna.

XX

A dir la verità, da allora Inej aveva provato ad avvicinarsi di soppiatto a Kaz un’infinità di volte. Non ci era mai riuscita. Era come se lui, dopo averla vista la prima volta, avesse capito come continuare a vederla.

XXI

Inej era contenta; anche lei voleva avere un momento da sola con Kaz.

«Ho qualcosa per te» disse, ed estrasse i guanti di pelle di Kaz dalla manica della casacca della prigione.

Lui li fissò. «Come…»

«Li ho recuperati dalla pila dei vestiti scartati. Prima di arrampicarmi.»

XXII

Kaz l’afferrò per un polso. «Inej.» Il pollice rivestito dal guanto l’accarezzò dove le pulsava il sangue e seguì la punta della piuma tatuata.

«Se non ne usciamo vivi, voglio che tu sappia…»

Lei rimase in attesa. Sentì che la speranza, dentro di lei, faceva frusciare le ali, pronta a spiccare il volo se Kaz avesse pronunciato le parole giuste.

Per cui si costrinse a stare immobile. Quelle parole non sarebbero mai arrivate. Il cuore è una freccia. Allungò una mano e gli toccò una guancia. Era convinta che si sarebbe tirato indietro, che le avrebbe persino colpito la mano. In quasi due anni di battaglie fianco a fianco, di complotti orditi fino a tarda notte, di colpi impossibili, di commissioni clandestine e pranzi a base di patate fritte e hutspot ingollati di corsa mentre si precipitavano da un posto all’altro, questa era la prima volta che lei lo toccava veramente, senza la barriera dei guanti, della giacca o delle maniche della camicia. Gli incorniciò la guancia con la mano. La pelle di lui era fredda e umida per via della pioggia. Kaz restò fermo, ma lei vide un tremito attraversarlo, come se stesse conducendo una guerra con se stesso.

«Se non ne usciamo vivi, io morirò senza paura, Kaz. Tu puoi dire lo stesso?»

Gli occhi di lui erano quasi neri, le pupille dilatate. Inej si rese conto che stava impiegando fino all’ultima briciola della sua spaventosa forza di volontà per restare fermo sotto il tocco delle dita di lei. E malgrado tutto non si tirò indietro. Lei seppe che questo era il massimo che lui poteva offrirle. Non era abbastanza.

XXIII

«Posso sentire come cambia il respiro di Kaz quando ti guarda».

«Tu… puoi?»

«Gli si mozza il fiato ogni volta, come se non ti avesse mai visto prima.»

XXIV

“Non dovresti fare amicizia con i corvi” le aveva detto lui.

“Perché no?” aveva domandato lei.

Kaz aveva sollevato lo sguardo dalla scrivania per rispondere, ma qualunque cosa fosse stato sul punto di dire era svanita. Una volta tanto c’era il sole, e Inej gli porgeva il viso. Teneva gli occhi chiusi, e le lucide ciglia nere le solleticavano le guance. Il vento del porto le aveva sollevato i capelli scuri, e per un attimo Kaz fu di nuovo un ragazzo, certo che la magia fosse di questo mondo.

“Perché no?” aveva ripetuto lei, con gli occhi ancora chiusi.

Lui disse la prima cosa che gli venne in mente. “Non conoscono le buone maniere.”

“Nemmeno tu, Kaz.” Inej aveva riso, e se lui avesse potuto imbottigliare quella risata e bersela fino a ubriacarsi tutte le notti, l’avrebbe fatto. La cosa lo terrorizzò.

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XXV

Kaz doveva dirglielo… che cosa? Che era adorabile e coraggiosa e migliore di qualunque cosa lui si meritasse. Che lui era contorto, corrotto, sbagliato, ma non così guasto da non poter rimettersi in sesto per lei, e tornare a essere qualcosa di simile a un uomo. Che senza volerlo, aveva imparato ad appoggiarsi a lei, a cercarla, ad avere bisogno di averla accanto.

XXVI

Inej si voltò per andarsene. Kaz le prese la mano, bloccandola sulla balaustra. Non la guardò. «Resta» disse, la voce rauca come pietra grezza. «Resta a Ketterdam. Resta con me.»

Inej abbassò gli occhi a guardare la mano guantata di lui che stringeva la sua. Tutto dentro di lei voleva dire di sì, ma non si sarebbe accontentata di così poco, non dopo quello che aveva passato. «A cosa servirebbe?»

Lui inspirò a fondo. «Voglio che resti. Voglio che… Io voglio te.»

«Tu vuoi me.» Lei rimuginò su quelle parole. Delicatamente, gli strinse la mano. «E come mi avrai, Kaz?»

Lui a quel punto la guardò, gli occhi rabbiosi, la bocca serrata. Era la faccia che faceva quando combatteva.

«Come mi avrai?» ripeté lei. «Vestito da capo a piedi, con i guanti infilati, e la testa girata dall’altra parte in modo che le nostre labbra non si tocchino mai?»

Lui le lasciò andare la mano e raddrizzò le spalle, lo sguardo furioso e imbarazzato mentre si girava a fronteggiare il mare. Forse fu perché le dava le spalle che lei riuscì a pronunciare quelle parole. «Io ti avrò senza corazza, Kaz Brekker. O non ti avrò per niente.»

XXVII

Kaz capì di aver fatto un errore nel momento stesso in cui lo fece. Sapevano tutti che si sarebbe potuti arrivare a questo. Avrebbe dovuto fidarsi della propria banda. I suoi occhi avrebbero dovuto rimanere fissi su Van Eck. Invece, nel momento della minaccia, quando avrebbe dovuto pensare solo allo scontro, lui guardò Inej.

XXVIII

Per il momento, non c’era altro che il grigio piatto del cielo e la nuda pietra di questa patetica sottospecie di isola. E l’assenza di Inej. Kaz voleva colpire qualcuno. E voleva che qualcuno lo colpisse.

XXIX

Senza volerlo, aveva lasciato che Kaz Rietveld tornasse. Non sapeva se era tutto iniziato con la ferita di Inej o con quell’orrenda corsa sul carro della prigione, ma in qualche modo l’aveva lasciato succedere e gli era costato caro.

XXX

“Avrò il mio denaro” si ripromise Kaz. “E avrò la mia ragazza.” Inej non sarebbe mai stata sua, non veramente, ma lui avrebbe trovato un modo per offrirle la libertà che le aveva promesso così tanto tempo prima.

Kaz e Inej: Le citazioni più belle di Il regno corrotto

I

E lei non gli aveva forse detto che aveva in programma di lasciare Ketterdam non appena messe le mani sulla propria parte di bottino? “Resta con me.” Lui aveva detto sul serio?

II

Meglio brutte verità che belle bugie. Kaz non le aveva mai offerto la felicità, e lei non si fidava degli uomini che ora promettevano di servirgliela su un vassoio.

III

Perché non era stata soltanto la ragionevolezza delle parole che aveva pronunciato a fermare la mano di Van Eck, era stata la verità che lui aveva colto nella voce di lei. Non farà mai nessuno scambio se mi trasforma in una storpia. Non poteva fare finta che quelle parole fossero state evocate con l’intenzione di depistarlo o per puro spirito di sopravvivenza animale. La magia che avevano prodotto era figlia della convinzione. Un brutto sortilegio.

IV

Pensava e ripensava a quei pochi cruciali istanti in cui, anziché tenere gli occhi fissi su Van Eck, aveva lasciato che la propria attenzione si spostasse su Inej. Un errore che non poteva permettersi di fare un’altra volta. Il ragazzo che c’era dentro di lui aveva svelato la propria debolezza con un singolo sguardo.

V

Lo guardò sistemarsi sul rotolo di tessuto di fronte a lei e appoggiare il bastone vicino a sé, ma si costrinse a riportare gli occhi alla finestra, distanti dai movimenti precisi di lui e dalla linea tesa della sua mascella. Guardare Kaz era pericoloso in un modo nuovo, diverso da prima.

VI

Si accorse che Kaz la stava studiando e spostò lo sguardo nella sua direzione. La luce del sole che filtrava dalla finestra falsava gli occhi di lui, mutandoli nel colore del tè forte. Non farà mai nessuno scambio se mi trasforma in una storpia. Il ricordo di quelle parole era una sensazione fisica, come se pronunciarle le avesse ustionato la gola.

VII

Kaz continuò a fissarla quando disse: «Ti ha fatto del male?».

Lei si strinse le ginocchia tra le braccia. Perché vuoi saperlo? Per essere sicuro che io sia ancora in grado di affrontare dei pericoli? Per aggiungerlo alla lista dei torti per i quali Van Eck dovrà render conto? Kaz era stato chiaro sulla natura del loro accordo sin dall’inizio. Inej era un investimento, una risorsa degna di protezione. Lei aveva voluto credere che fossero diventati qualcosa di più l’uno per l’altra. Jan Van Eck le aveva sottratto quell’illusione. Inej era tutta intera, indenne.

(…) Le dita girellarono nel punto in cui la mazza le aveva sfiorato la gamba ma, quando vide che Kaz seguiva il loro movimento, le fermò. Incrociò le mani in grembo e scosse la testa. «No. Non mi ha fatto del male.»

Kaz si reclinò all’indietro e smontò pezzo per pezzo la sua frase con lo sguardo, lentamente. Non le credeva, ma lei non poteva convincerlo a fidarsi della sua bugia.

VIII

«Perché la rete, Kaz?»

Già, perché la rete? Perché complicare l’assalto ai silos che aveva in programma e lasciarli doppiamente esposti e smascherabili? Non potrei sopportare di vederti cadere.

IX

«Questa è la mia banda, Brekker. Lei non appartiene a te.»

«Lei non appartiene a nessuno» disse Kaz, e sentì divampare quella rabbiosa fiamma bianca.

X

Il suo rispettabile Spettro, così onesto e devoto, l’aveva superato in astuzia. (…)

«Maledetta tu e maledetti i tuoi Santi» disse a tutti e a nessuno, ma poi si rese conto che stava sorridendo.

XI

«Non sapevo se saresti venuto.»

Di questo Kaz non poteva incolpare Van Eck. Era stato lui a dare vita a quel dubbio dentro di lei, tramite ogni parola gelida e ogni piccola crudeltà.

XII

«Sarei venuto a prenderti» disse e, quando vide lo sguardo diffidente che lei gli lanciò, lo disse di nuovo. «Sarei venuto a prenderti. E se non fossi stato in grado di camminare, sarei arrivato da te strisciando, e non importa se ci avrebbero ridotti a pezzi, noi ne saremmo usciti vivi battendoci insieme: con i pugnali sguainati e le pistole fumanti. Perché è così che funziona per quelli come noi. Noi non smettiamo mai di combattere.»

XIII

Lei faceva bene a essere prudente. Anche con lui. Soprattutto con lui.

XIV

Ho preparato qualcosa di speciale anche per lo Spettro. Al diavolo la vendetta, al diavolo tutti i piani. Se Rollins aveva fatto qualcosa a Inej, Kaz avrebbe usato le sue budella per dipingere lo Stave dell’Est.

XV

Si fermò dietro di lui. «Tu mi hai protetto, Kaz.»

«Il fatto che tu stia sanguinando sotto le bende mi dice il contrario.»

XVI

Io posso aiutarti. Erano state le prime parole che gli aveva detto lei, in piedi nel salottino del Serraglio, avvolta nelle vesti di seta viola, gli occhi truccati con il kajal. Lo aveva aiutato. E lo aveva quasi distrutto. Forse avrebbe dovuto lasciarla terminare il lavoro.

XVII

Non sapeva bene cosa volesse dirle. “Dille di andarsene” ordinò una voce dentro di lui. “Implorala di rimanere.”

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XVIII

Erano occhi negli occhi ora. Lui fece un passo avanti e poi rimase lì in piedi, incapace di muoversi. Non poteva farlo. Sembrava che tra loro non ci fosse nessuna distanza. Sembrava che ci fossero miglia.

XIX

Il suo cuore non avrebbe dovuto fare quel rumore. Forse non sarebbe mai arrivato alla Stecca. Forse questo lo avrebbe ucciso.

XX

Non dissero nulla, catturati da un vortice di silenzio, senza toccarsi, le ginocchia di lei aperte a circondarlo.

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XXI

«Non è facile neanche per me.» La voce di lei, bassa e ferma, la voce che già una volta l’aveva trascinato via dall’inferno.

XXII

Fai un passo indietro. Non fece un passo indietro. Rimase lì, ad ascoltare il proprio respiro, quello di lei, il ritmo di loro due da soli nella stanza.

La nausea era lì, il bisogno di scappare, ma anche il bisogno di qualcos’altro. Kaz pensava di conoscere il linguaggio del dolore da vicino, ma quella sofferenza era nuova. Faceva male stare lì così, così vicino al cerchio delle braccia di lei. Non è facile neanche per me. Dopotutto quello che lei aveva patito, era lui quello debole. Inej non avrebbe mai saputo cosa voleva dire, per lui, vedere Nina attirarla a sé, guardare Jesper circondarla con le braccia, che cosa voleva dire rimanere sulle soglie delle porte e addosso ai muri e sapere di non potersi avvicinare. “Però sono qui ora” pensò selvaggiamente. L’aveva presa in braccio, aveva combattuto accanto a lei, avevano trascorso notti intere vicini, entrambi a pancia in giù, a sbirciare dentro un cannocchiale, a tenere d’occhio qualche deposito o qualche ricca dimora mercantile. Questo non era niente del genere. Provava nausea ed era spaventato, aveva il corpo ricoperto di sudore, ma era qui. Guardò la vena pulsarle in gola, la prova tangibile del suo cuore in azione, che mescolava il battito di lei con quello angosciato di lui. Guardò la curva umida del suo collo, il luccichio della sua pelle scura. Voleva… voleva.

Prima ancora di sapere cosa, abbassò la testa. Lei inspirò profondamente. Le labbra di lui volteggiarono sopra il caldo punto di giuntura tra la spalla e il collo. Lui attese. Dimmi di fermarmi. Spingimi via.

Lei espirò. «Vai avanti» ripeté. Finisci la storia.

Il più impercettibile dei movimenti e le sue labbra le sfiorarono la pelle: calda, liscia, imperlata di umidità. Il desiderio gli scorreva in corpo, le migliaia di immagini che aveva accumulato e sulle quali aveva a malapena permesso a se stesso di fantasticare: i capelli neri di lei che si liberavano della treccia e ricadevano sciolti, la mano che aderiva alla curva sinuosa della sua vita, le labbra di lei dischiuse a sussurrare il suo nome.

Era tutto lì, e subito dopo non c’era più.

XXIII

«Se ti è mai importato qualcosa di me, non seguirmi.»

XXIV

«Avevo capito che tu e Nina aveste scelto quattro focolai sugli Stave.»

Kaz si aggiustò i polsini della camicia. «Le ho fatto fare una tappa anche al Serraglio.»

A quel punto lei sorrise, gli occhi arrossati, le guance cosparse di qualche strana polvere. Kaz pensò che avrebbe anche potuto morire per riguadagnarsi quel sorriso.

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XXV

Kaz era cambiato. La rete. La chiusura del suo contratto. Riusciva ancora a sentire il tocco lieve delle sue labbra sulla propria pelle, le sue mani nude che armeggiavano con i nodi delle fasciature. Inej aveva scorto solo un esiguo barlume di quello che sarebbe stato se si fosse lasciato andare. Non avrebbe sopportato di vederlo di nuovo con la corazza, abbottonato dentro i suoi abiti perfetti e il suo contegno distaccato.

(…) Era tempo di mettere una fine a questa cosa, che non aveva mai nemmeno avuto la possibilità di cominciare.

XXVI

Con cautela, Inej sfiorò con le proprie nocche quelle di lui, un peso leggero, una piuma d’uccello. Lui si irrigidì, ma non si ritrasse.

XXVII

A un tratto la mano di Kaz era nella sua, il palmo di lui premuto contro il proprio. Lui era scosso dal tremito. Lentamente, lasciò che le loro dita si intrecciassero.

XXVIII

Malvolentieri, lasciò andare la mano di Kaz. Aveva l’aria di una promessa, e non voleva abbandonarla.

XXIX

Allungò una mano verso la manica di Kaz. Stava per cadere. Lui le mise un braccio intorno alla vita e l’aiutò a reggersi in piedi. La mente di Inej si divise in due. Una metà di lei era consapevole delle dita nude di lui sulla propria manica, delle sue pupille dilatate, del supporto del suo corpo intorno al proprio. L’altra metà stava ancora cercando di comprendere ciò che aveva visto.

XXX

Inej scoppiò a ridere, e il cappuccio le cadde all’indietro scoprendole i capelli.

«È quella, la risata che dico io» mormorò lui, ma lei era già partita di corsa giù per la banchina, con i piedi che toccavano appena terra.

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Pubblicato da Giulia Greco

Geek. Il caffè è la mia droga, serie TV, film, libri, anime, manga la mia passione. Classe '89, sono cresciuta andando a caccia di vampiri con la Scooby Gang e passeggiando tra le vie di Stars Hollow con le testa tra le nuvole, un po' come Luna Lovegood.

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