Il Grishaverse di Leigh Bardugo è arrivato su Netflix con un adattamento che fonde temi e personaggi dei romanzi più noti della scrittrice, la Trilogia Grisha e la duologia di Sei di Corvi.
Ma questo, lo sapevamo già. Bardugo ce lo aveva anticipato quando aveva definito Tenebre e ossa “uno show radicalmente differente dai libri, una sorta di fan fiction con un enorme budget a disposizione”.
Quello che non ci aspettavamo, ma che non ci sorprende più di tanto, è che la serie con protagonista Jessie Mei Li funzioni meglio quando si concentra sui personaggi che riempiono le pagine di Sei di corvi e non su Alina Starkov.
Il trio criminale composto da Kaz, Jesper e Inej cattura immediatamente l’attenzione del pubblico, anche (e forse soprattutto) quella di chi è completamente estraneo alla saga cartacea firmata da Bardugo.
Il cardine attorno al quale ruota tutta la vicenda della serie televisiva di Eric Heisserer resta la missione che Alina è destinata a compiere, ma né la scoperta della propria identità né l’incontro con il potente Darkling (Ben Barnes) e né tantomeno la storia d’amore tra la ragazza e l’amico d’infanzia Mal (Archie Renaud) riescono a fare di Alina una leader affascinante. Non quanto il trio di corvi per lo meno. E non è neanche così difficile comprendere il perché.
La storia di Alina ricalca fin troppo quelle di altri eroi ed eroine di romanzi fantasy e young adult e risulta quindi poco originale a chi è lettore e spettatore navigato.
Ma basta aggiungere un tassello all’equazione e tutto inizia a volgere per il verso giusto.
Anche se originariamente Kaz, Jesper e Inej debuttano nel Grishaverse solo nel libro spin-off Sei di corvi, i personaggi hanno già fatto capolino nello show. Le loro vicende si sono così intrecciate a quelle di Alina con una storia creata appositamente per la serie televisiva.
Una mossa astuta da parte di Heisserer e Bardugo che non solo hanno dimostrato così di conoscere bene il proprio seguito (i corvi sono i personaggi preferiti dal fandom del Grishaverse), ma anche di essere consapevoli dei limiti della parabola di Alina.
È proprio la storyline prequel, che racconta il tentativo di Kaz e compari di rapire la preziosa evocaluce, a fare da catalizzatore durante gli otto episodi che compongono la prima stagione di Tenebre e ossa.
Merito anche dei carismatici Freddy Carter, Kit Young e Amita Suman che prestano il volto a Kaz e soci: Carter è più che convincente nei panni dello scaltro Kaz, che nella sua impudenza di facciata che nasconde una grande fragilità tanto ricorda il tormentato Jace Herondale di The Mortal Instruments; Young è bravissimo (il migliore dei tre interpreti) nella parte di Jesper, simpatica canaglia dalla mira infallibile; ed è veramente impossibile non restare incantati dalla bellissima Amita Suman, che riesce a trasmettere le paure e la forza di Inej con ogni suo movimento.
Il trio di corvi, insieme alla grisha Nina (Danielle Galligan) e al cacciatore di streghe Matthias (Calahan Skogman), fa dunque da vera forza di propulsione a una serie che altrimenti avrebbe rischiato di raccogliere la pericolosa eredità del mal riuscito Cursed.
Non che la vicenda principale di Tenebre e ossa sia minimamente paragonabile alla serie con Katherine Langford. Pur se poco originale dal punto di vista contenutistico e narrativo, la storia di Alina, del generale Kirigan e delle origini della Faglia che divide il regno di Ravka in due resta ben costruita, soprattutto se teniamo bene a mente quale sia il target di riferimento della serie e dei romanzi best seller di Bardugo. Ma se un pubblico adolescente riuscirà ad appassionarsi alle vicende di Alina, inevitabilmente contesa tra l’amico Mal e il generale Kirigan (che altro non rappresenta se non l’attrazione che la ragazza prova nei confronti del lato oscuro), non è lo stesso per tutti quegli spettatori che già di alcune dinamiche hanno fatto indigestione grazie ai vari The Vampire Diaries, Twilight, Hunger Games e chi più ne ha più ne metta.
Tenebre e ossa, quindi, rappresenta uno di quei casi in cui il filone narrativo secondario prende il sopravvento sulla trama principale in termini dell’appeal che esercita sul pubblico e diventa la ragione fondamentale (in realtà ce n’è un’altra ed è Ben Barnes) per cui siamo rimasti incollati allo schermo fino all’episodio conclusivo della stagione.
Nonostante qualche incertezza, comunque, con la sua mitologia ben strutturata e l’ambientazione filo-russa ispirata alla civiltà e alla cultura della Russia zarista, Tenebre e ossa è una ricetta che funziona, un adattamento riuscito che ha tutte le potenzialità per diventare il prossimo grande successo di casa Netflix.
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