Perché il fan service non è sempre una cattiva idea3 min di lettura —

Perché il fan service non è sempre una cattiva idea — 3 min di lettura —

Alzi la mano chiunque abbia criticato almeno una volta nella vita l’utilizzo del fan service nelle serie TV.

Serie TV: fan service no?

Inserire all’interno di una storia elementi che hanno il solo scopo di attirare una fetta di pubblico senza che se ne giustifichi l’utilizzo da un punto di vista narrativo non è mai un’idea che paga in termini di qualità. Basti pensare al destino riservato a Marissa Cooper in The O.C., uccisa solo perché un gruppo ristretto di spettatori online non poteva soffrire il personaggio, o ancora a tutta quella schiera di coppiette nate all’improvviso in Glee per via delle preferenze di un fandom incredibilmente attivo sui social che voleva che i personaggi convolassero a nozze solo per essersi scambiati un sorriso tra un’esibizione e l’altra.

Questo tipo di fan service può essere molto dannoso per le serie TV, che rischiano di snaturarsi quando si rincorre l’obiettivo di accontentare il pubblico a ogni costo, anche a scapito della coerenza narrativa.

Fan service sì!

Tuttavia stavolta abbiamo provato a guardare le cose da un punto di vista opposto e siamo giunti alla conclusione che rispettare il volere degli spettatori non è sempre una cattiva idea.

Il fan service rovina le serie TV? Non sempre. Non del tutto. Può anche avere un potere salvifico che spesso gli sceneggiatori stessi ignorano.

A volte capita che i pianeti si allineino e che ciò che desidera il pubblico coincida esattamente con la direzione in cui la storia e i personaggi stanno procedendo. Motivo per cui, quando ci troviamo di fronte a finali come quello di Game of Thrones (del tutto incoerente con quanto narrato per otto stagioni), ci sentiamo come se il nostro migliore amico ci avesse pugnalato alle spalle.

Qualche volta ci diciamo che non ce la prendiamo per il finale in sé, ma per una questione di principio. Solo che non è mai così, è sempre una questione personale. Ma in che senso? La risposta è molto semplice: quando fruiamo di un’opera, nonostante siamo razionalmente consapevoli che si tratti di finzione, le sensazioni che scaturiscono in noi sono reali. Soffriamo coi protagonisti, ridiamo insieme a loro, ci identifichiamo nelle loro storie, li sentiamo vicini, e investiamo emotivamente in quello che abbiamo di fronte agli occhi come se fosse la vita reale.

In virtù di ciò, se la storia lo permette, perché non dare ai fan ciò di cui hanno bisogno? Non si tratta per forza di un lieto fine, di una coppia che finisce insieme, di un personaggio che ce la fa. Non è quello che cerchiamo di per sé, ma una conclusione che sia in linea con quanto costruito.

Gli spettatori più affezionati non meritano di spendere energie in una storia che non li rispetta e infine li tradisce. Hanno diritto di avere giustizia per la loro serie del cuore, e produttori e sceneggiatori per primi dovrebbero ricordare che, senza un fandom che li sostiene, il loro lavoro sarebbe vano.

E allora ben venga il fan service, ben venga l’endgame della ship più amata, ben venga il lieto fine per i personaggi queer, ben venga il finale à la “e vissero per sempre felici e contenti”.

 

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Pubblicato da Manuela Greco

Classe ’92, appassionata di serie TV, film, libri, anime, manga e di tutto ciò che è nerd da che ne ha memoria.

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