The Haunting of Hill House | Recensione3 min di lettura —

The Haunting of Hill House | Recensione — 3 min di lettura —

Tratta dall’omonimo romanzo di Shirley Jackson del 1979, The Haunting of Hill House è la serie targata Netflix che ha riportato in auge il filone horror della casa stregata, tinteggiandolo di intense sfumature psicologiche.

Sarebbe banale, dunque, classificare Hill House come un semplice racconto dell’orrore, perché riesce abilmente a trasformarsi all’occorrenza in un thriller, in un dramma familiare, o in racconto introspettivo.

I protagonisti della storia, la cui narrazione si snoda in diverse linee temporali, sono i Crain: Hugh, Olivia e i loro cinque figli, il razionale Steve, la perfezionista Shirley, la ribelle Theo, e i tormentati gemelli Luke e Nell.

Nell’estate del 1992, la famiglia Crain si trasferisce a Hill House, una dimora infestata che, coi suoi fantasmi e i fenomeni paranormali, distruggerà per sempre la felicità dei Crain, portando Olivia alla follia e successivamente alla morte, e i membri della famiglia a un ineludibile allontanamento.

L’apparente suicidio di Nell porterà Hugh e i suoi figli, ormai adulti, a ricongiungersi, ad affrontare ancora il dolore della perdita e a fare finalmente i conti con quella maledetta casa.

Il racconto, che si districa abilmente tra passato e presente, ci presenta, man mano che procede, il punto di vista di ognuno dei protagonisti, dal momento dell’arrivo a Hill House, fino alla morte di Nell.
E scopriamo così che i cinque fratelli Crain rappresentano, in una perfetta simmetria, le cinque fasi del lutto.

C’è Steve, la negazione, che tenta di razionalizzare qualsiasi fenomeno paranormale, tapparsi gli occhi e mentire a chiunque, persino a se stesso, piuttosto che ammettere che i mostri sotto il letto siano reali:

There’s natural phenomena that we understand and there’s natural phenomena that we don’t. […] Nothing supernatural about it, though. Once we understood what it was, well, it was just natural. I prefer “preternatural”. Natural phenomena that we don’t quite understand yet.)

C’è Shirley, la rabbia, sempre sul piede di guerra, tesa e nervosa, pronta a giudicare con disprezzo i propri familiari, a dare giudizi sulle loro scelte di vita, a ricordare loro quanto sia stata dura per lei farsi carico di tutti fin da quando era poco più che una bambina.

Theo, apparentemente cinica, fredda e distaccata, abbraccia il senso di colpa pur di non sentire l’orribile e vuoto nulla della morte:

I started feeling things again, and I felt I felt shame, and I felt grief, and I felt scared. I felt so fucking scared that I was gonna lose the only sister that I had left. And I Honestly, I had to do it, because it felt better than nothing.

Poi c’è Luke, eroinomane, che tenta di scappare dai propri demoni interiori, dalla sofferenza e dal dolore, e lo fa nel modo più semplice possibile, abbandonandosi agli effimeri piaceri della droga.

Chi, più di chiunque altro, ha subito l’influenza di Hill House, è certamente Nell, il personaggio chiave della serie, che rappresenta l’accettazione, e che trascorre la sua breve vita tentando di allontanarsi dai mostri che non l’hanno mai davvero lasciata. Per una strana beffa del destinato, nel momento in cui la ragazza accetta e fa i conti coi fantasmi della sua infanzia, in quel preciso istante, con la mente annebbiata, ma col desiderio nel cuore di salvare la propria famiglia cui è estremamente devota, perde la vita tragicamente, nello stesso posto che ha dato inizio ai suoi tormenti.

Nonostante i personaggi siano così affascinanti e ben caratterizzati, vera protagonista della serie è la Hill House, una dimora che non è più solo un luogo fisico, ma una vera e propria entità, con un corpo, una mente e un cuore pulsante:

Mom says that a house is like a body and that every house has eyes. And bones. And skin. And a face. This room is like the heart of the house. No, not a heart, a stomach.

The Haunting of Hill House stupisce per la linearità dell’intreccio, per la cura per i dettagli (alzi la mano chi non ha cercato i fantasmi nascosti all’interno della casa), per l’approfondimento psicologico riservato ai personaggi e per quel piccolo easter egg inserito nell’ultimo episodio, la torta rossa per i due anni di sobrietà di Luke, che mette in dubbio ogni cosa e apre le porte a una miriade di possibilità.

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Pubblicato da Manuela Greco

Classe ’92, appassionata di serie TV, film, libri, anime, manga e di tutto ciò che è nerd da che ne ha memoria.

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