Perché gli adattamenti non devono essere sempre fedeli12 min di lettura —

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Cos’è che definisce la qualità di un adattamento? La risposta che viene immediatamente in mente a tutti noi è: la fedeltà al materiale di partenza. In fondo, quante volte l’insuccesso di un adattamento è stato decretato dal livello di fedeltà all’originale? Pensiamo al film di Eragon oppure a Percy Jackson (non a caso entrambe le saghe saranno riadattate grazie a Disney+). Eppure, sappiamo bene, esistono anche serie e film che hanno ottenuto grande successo nonostante si discostino moltissimo dalla fonte. BBC’s Sherlock e The Vampire Diaries ne sono esempi tra i più evidenti. Esiste poi il caso di Harry Potter, una saga da record su carta così come al cinema nonostante i film siano quasi un insulto alla storia originale.

Quindi, quand’è che un adattamento può dirsi veramente riuscito e in quali casi possiamo davvero parlare di adattamenti e non di qualcosa di diverso? Essere fedeli all’originale paga sempre e non esserlo equivale per forza a compiere un passo falso?

Perché gli adattamenti non devono essere sempre fedeli

La premessa dell’adattamento

Tremiamo ogni qualvolta viene annunciato l’adattamento live-action di una saga letteraria o la versione anime di una serie manga che abbiamo amato. Legati come siamo alle versioni originali delle storie che ci hanno conquistati, ci sentiamo protettivi nei loro confronti e temiamo che l’adattamento cinematografico o televisivo possa “rovinare” l’opera. Razionalmente sappiamo che l’originale resterà sempre intatto, da leggere e rileggere in qualsiasi momento, ma quel timore resta lo stesso. Forse perché nelle nostre menti abbiamo un’idea ben precisa della storia e dei personaggi e vedere dei cambiamenti sullo schermo sembra quasi un attacco personale.

Dobbiamo però innanzitutto prestare attenzione a un dettaglio quando leggiamo la news di un nuovo adattamento, e cioè il modo in cui ci viene presentato. Molto spesso, è chiaro fin dall’annuncio che non ci troveremo di fronte a un adattamento fedele, ma a una nuova versione della stessa storia. E allora, come comportarci? Come giudicare questi film o serie TV? La risposta probabilmente è: dobbiamo fare uno sforzo e cercare di considerare le due opere come due storie a sé stanti, con punti di contatto e molte differenze.

What if, universi alternativi e nuove interpretazioni

Uno dei classici delle fan fiction è il racconto “what if”, quello che parte dalla domanda “cosa succederebbe se mescolassimo un po’ le regole di questo universo?”. Gli autori di fan fiction immergono personaggi appartenenti a qualsiasi universo narrativo in situazioni differenti, in mondi fantasy quando nella storia originale la magia non esiste e in mondi senza magia se l’originale è una storia fantasy. Spesso le caratteristiche dei personaggi che conosciamo cambiano radicalmente perché è il contesto nel quale si muovono a essere diverso e perché forse lo è anche il loro passato. Ma allora, se riusciamo ad apprezzare una chiave di lettura di questo genere in una fan fiction, perché non possiamo farlo in un adattamento ispirato a un romanzo?

Prendiamo l’esempio de Le terrificanti avventure di Sabrina. Il fumetto nasce dalla domanda: “E se Sabrina, vita da strega fosse più dark?”, racconta così una versione inedita della strega Spellman e… funziona lo stesso! Roberto Aguirre-Sacasa ha stravolto completamente la storia della giovane Sabrina, ha preso tra le mani un serie a fumetti degli anni Settanta e l’ha reimmaginata completamente, correndo un rischio non da poco. Non dobbiamo dimenticare che dal fumetto originale erano già nati la serie con Melissa Joan Hart, un paio di film e un cartone animato. Nell’immaginario di tutti noi, Sabrina Spellman era – per citare il Salem della serie d’animazione – “solo una streghetta” un po’ imbranata che si cacciava spesso nei guai. All’annuncio della serie live-action de Le terrificanti avventure di Sabrina, più o meno tutti noi credevamo che ci avrebbero terrorizzati per la ragione sbagliata, non per la vena horror, ma perché non sarebbe stato un adattamento all’altezza di Sabrina, vita da strega del 1996. E invece siamo stati piacevolmente colpiti. A dimostrazione del fatto che non tutti gli adattamenti devono essere fedeli per essere meritevoli.

Naturalmente, Sabrina non è il solo esempio a riguardo.

Shining è indubbiamente uno dei film horror più influenti mai realizzati e quasi tutti i registi horror di oggi lo citano come una delle loro ispirazioni. Tuttavia, non può dirsi fedele al libro di Stephen King. Anzi, l’autore stesso del romanzo si è schierato apertamente contro la pellicola di Stanley Kubrick: “Il film non ha cuore. Ho scritto una tragedia, e se era una tragedia era perché tutte le persone si amavano. Qui sembra che non ci sia nulla di tragico perché i personaggi non hanno nulla da perdere”.

King detestava così tanto il film, da realizzare nel 1997 una miniserie in tre episodi che fosse più fedele allo spirito della sua creatura. Dal punto di vista del creatore, è difficile biasimarlo. Kubrick prende in prestito pochi degli elementi del romanzo, altera le caratteristiche dei personaggi perché sposino la sua versione della storia e così facendo trasforma completamente il tema centrale dell’originale.

Tuttavia, anche il più purista dei puristi del romanzo deve riconoscere una verità innegabile: tutti ricordiamo lo Shining di Kubrick, in pochi la miniserie del ’97. Ed è proprio per questo che dobbiamo forse ammettere che fedeltà non equivale sempre a successo né basta a definire un buon adattamento. Probabilmente non dovremmo neanche utilizzare il termine “adattamento” in riferimento a film come Shining. È basato su un romanzo, si ispira a un’idea originale di King, ma è un’opera a sé stante, che si regge in piedi da sola.

Ciò che è interessante sottolineare è la reazione dei fan, divisi come sono tra l’interpretazione di Shining di Kubrick e il materiale di partenza di King. Se alcuni preferiscono l’originale per la caratterizzazione dei personaggi e le tematiche affrontate, per i registi del cinema horror il film di Kubrick resta un capolavoro da studiare e a cui ispirarsi, un punto di svolta nell’evoluzione del cinema dell’orrore.

Bisogna considerare che una serie o un film che siano ispirati a un’opera offrono ai loro autori la possibilità di mescolare le carte in tavole, creando nuove svolte, trame e sottotrame avvincenti totalmente assenti nell’originale. Ciò non significa che questo sia sempre un bene, ma spesso si rivela essere una strategia vincente.

Pensiamo a The Vampire Diaries. Si tratta di uno degli esempi in cui è più evidente che stravolgere molti aspetti della trama e della caratterizzazione dei personaggi ha funzionato. Stiamo parlando di una delle serie più chiacchierate degli ultimi 15 anni, uno show che con ogni probabilità non avrebbe raggiunto quota 8 stagioni se avesse ricalcato i romanzi di Lisa Jane Smith. Elena è un personaggio completamente diverso, la sua famiglia è differente, il suo passato lo è, persino le sue amicizie. Eppure, in barba alla fedeltà alla saga, ce ne siamo innamorati tutti, perché Kevin Williamson e Julie Plec hanno saputo individuare i punti di forza di un racconto altrimenti mediocre e li hanno modellati a loro piacimento, creando uno show di grande intrattenimento.

Un discorso simile possiamo farlo con un’altra amata serie, The Umbrella Academy. Tratta dai comics di Gerard Way e Gabriel Bá, la serie Netflix di Steve Blackman è sempre stata un’interpretazione piuttosto libera dell’originale a fumetti. Le prime due stagioni della serie hanno riproposto alcuni elementi dei primi due volumi del fumetto “Apocalypse Suite” e “Dallas”, mentre la terza è ispirata al terzo e quarto arco narrativo, “Hotel Oblivion” e “Sparrow Academy”. Lo showrunner ha fatto però sue queste storie. Pur rimanendo fedele al surrealismo del racconto e mantenendo vivo il focus sulle relazioni tra i membri di questa disfunzionale famiglia di supereroi, Blackman ha creato un’opera di cui è possibile godere senza conoscere il fumetto.

Tenebre e Ossa, sempre in casa Netflix, ha tentato un approccio simile. Pur se la storia di Alina resta la stessa, la prima stagione dello show è stata descritta da Leigh Bardugo, autrice della saga, come “radicalmente differente dai libri, ma nel più fantastico dei modi, una specie di fan fiction con un enorme budget a disposizione. Abbiamo preso le storie di Tenebre e Ossa e i personaggi di Sei di Corvi e li abbiamo mescolati in modo davvero inaspettato. Eric [Heisserer, n.d.r], il team di scrittori e i nostri registi hanno costruito qualcosa di completamente nuovo che in qualche modo rimane fedele ai personaggi e al cuore delle storie narrate”.

Ci sono centinaia di esempi come questi, in cui la storia viene adattata a un nuovo media nel modo più inaspettato possibile. I cambiamenti che si possono apportare a un adattamento creando qualcosa di innovativo sono molteplici. BBC’s Sherlock e Riverdale, per esempio, hanno rimaneggiato le storie originali su carta innanzitutto adattandole ai nostri tempi, immergendo con naturalezza situazioni e personaggi in un contesto contemporaneo affinché fossero più vicini al mondo che gli spettatori conoscono.

 

Vecchi o nuovi fan? Il pubblico a cui gli adattamenti si rivolgono

Il mezzo attraverso cui una storia viene raccontata non è un’entità astratta, ha invece un impatto notevole su di essa. Ed è la ragione per cui spesso alcuni adattamenti andrebbero evitati. La forma dell’adattamento, soprattutto quando tenta di essere troppo fedele all’originale, rischia di deludere le aspettative dei fan, finendo con l’apparire quasi grottesca. Ma non dobbiamo dimenticare che anche in questo tipo di adattamenti esiste un vantaggio. Film, serie, anime fanno sì che la storia raggiunga un nuovo pubblico. I film di Harry Potter ne sono l’esempio più lampante, così come la serie sul Trono di Spade.

Entrambi partiti col piede giusto, fedelissimi ai primi romanzi delle rispettive saghe, se ne sono via via distanziati e il risultato è stato disastroso, per lo meno dal punto di vista dei più accaniti fan. Perché da una prospettiva commerciale hanno ottenuto esattamente ciò che volevano: successo e popolarità.

Quando ci troviamo di fronte a un adattamento che, fin da principio o solo da un certo punto in poi, fa acqua da tutte le parti, c’è un solo modo per giudicarlo: dobbiamo considerare il pubblico a cui quell’adattamento si rivolge.

Spesso gli adattamenti non sono fedeli ai libri di partenza perché non sono rivolti a chi quei libri li ha già apprezzati. Spesso sono rivolti a chi quei libri non li leggerà mai.

Questo ragionamento vale anche per casi come il recente Fate: The Winx Saga, discusso adattamento in live-action di Winx Club. Annunciata fin da subito come una versione young adult delle Winx, la serie propone una diversa chiave di lettura delle storie di Bloom e compagne. E lo fa innanzitutto rivolgendosi a un pubblico differente. Laddove Winx Club era indirizzato a un pubblico di bambine, il target di Fate è costituito da giovani adulti affascinati dalle atmosfere dark tipiche di un racconto urban fantasy, collocandosi non più sulla scia del cartone animato, ma di serie teen drama con una struttura non episodica bensì seriale come The Vampire Diaries, Shadowhunters, Teen Wolf e soci.

Quando gli adattamenti sono troppo fedeli

Esistono adattamenti o anche remake che possono essere considerati troppo fedeli all’originale? Potrà sorprendere, ma la risposta è affermativa.

Se Il Re Leone del 2019 ci ha insegnato qualcosa, è che non sempre fedeltà all’originale è sinonimo di qualità. Ha davvero senso ricalcare così da vicino lo scheletro dell’originale senza sapersi reinventare? Il Re Leone ci ha dimostrato che a volte è preferibile che una storia sia diversa, qualcosa di nuovo e originale che riesca a sorprendere chi è già un esperto conoscitore dell’argomento.

Reimmaginare un racconto, persino drasticamente, ha spesso più senso rispetto al tentare di proporre al pubblico una copia carbone di qualcosa di già visto. Perché ricopiare senza alcuna variazione non dovrebbe essere lo scopo di un adattamento. Forse è per questo che i remake made in USA di Shameless e Queer as Folk hanno ottenuto enorme successo su Showtime. Hanno rifiutato di ricalcare le rispettive serie inglesi a cui sono ispirate e hanno intrapreso una strada del tutto autonoma dopo appena una manciata di episodi – una scelta audace e coraggiosa che forse avrebbero dovuto compiere anche i vari remake di Skam.

Gli errori più comuni negli adattamenti poco fedeli

Alcuni cambiamenti sono inevitabili perché i media attraverso cui vengono realizzati sono differenti. La maggior parte del pubblico questo lo sa. I lettori de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco non si aspettavano che tutti i personaggi secondari della saga apparissero in Game of Thrones. Accettare che Loras assumesse il ruolo che nei romanzi ricoprono in più occasioni i fratelli Garlan e Willas non è stato difficile. Così come non lo è stata l’esclusione di personaggi minori come Edric Dayne. Snellire la storia di George R.R. Martin per renderla più agevole al grande pubblico era inevitabile, ma quando ci troviamo di fronte a un racconto tanto stratificato come lo è Game of Thrones, è necessario farlo con cognizione. Escludere Arianne Martell e appiattire i personaggi principali fino a renderli monodimensionali significa semplificare eccessivamente un racconto che fa dei dettagli e della tridimensionalità del protagonisti i suoi punti di forza.

Con Harry Potter è stato commesso lo stesso errore. Nonostante l’incredibile successo, la saga cinematografica del maghetto ha ridotto all’osso la complessa storia di Harry, Piton, Voldemort e tutti gli altri. Di Pix abbiamo tutti fatto volentieri a meno, della storia di Orvoloson Gaunt e Merope avevamo necessità. Non ne avevano bisogno i lettori, che già conoscono i più minuziosi dettagli del racconto, ma proprio quelle persone – i non lettori – a cui paradossalmente i film si rivolgono e che senza i libri non avranno mai gli strumenti per cogliere determinati elementi.

Troppo spesso, Steve Kloves e Michael Goldenberg (che hanno scritto i copioni dei film) hanno commesso l’errore di alleggerire eccessivamente i toni della storia, venendo meno allo spirito dei romanzo, puntando sull’umorismo e sulla comicità quando non ce ne sarebbe stato il bisogno. Il fascino di Harry Potter è la capacità di crescere con i suoi lettori, lo stesso avrebbe potuto fare la serie di film se non fosse stata così focalizzata sul compiacere quasi esclusivamente bambini e famiglie.

Non si tratta di un fenomeno circoscritto al cinema o agli adattamenti in live-action. Anche numerosi manga hanno subito lo stesso trattamento nella trasposizione in anime. Fullmetal Alchemist è uno degli esempi più famosi. La serie anime si è così allontanata dalla sua fonte (il manga era ancora in corso all’epoca, quindi non possiamo fargliene davvero una colpa) che è stato necessario produrre un reboot appena dopo la conclusione dell’opera di Hiromu Arakawa, Fullmetal Alchemist Brotherhood, fedelissimo al manga.

Un secondo esempio è Tokyo Ghoul. Il capolavoro di Sui Ishida è stata adattato in un anime che ha mandato in confusione tutti i suoi spettatori. Quale sia il pubblico a cui si rivolge non è dato saperlo: da un lato è comprensibile solo ai lettori del manga perché taglia e sorvola su aspetti fondamentali del fumetto, dall’altra, è evidente che nessun lettore potrà mai apprezzare l’anime di Studio Pierrot, incapace di incarnare la complessità della storia originale di Ishida.

È evidente, quindi, che la soluzione ideale sarebbe apportare cambiamenti quando è la storia a permetterlo, quando non poggia su una struttura troppo complessa e si presta a interpretazioni e chiavi di lettura differenti.

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Pubblicato da Giulia Greco

Geek. Il caffè è la mia droga, serie TV, film, libri, anime, manga la mia passione. Classe '89, sono cresciuta andando a caccia di vampiri con la Scooby Gang e passeggiando tra le vie di Stars Hollow con le testa tra le nuvole, un po' come Luna Lovegood.

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