13 Reasons Why (Not) | La recensione della quarta stagione di Tredici5 min di lettura —

13 Reasons Why (Not) | La recensione della quarta stagione di Tredici — 5 min di lettura —

Era il 2017 quando andava in onda per la prima volta Tredici (13 Reasons Why), una serie che ha fatto discutere fin dal suo esordio, ma che, durante la sua prima stagione, aveva convinto critica e pubblico con un racconto doloroso e drammatico volto a mostrare le fragilità di Hannah Baker e la spirale distruttiva che l’aveva portata a togliersi la vita.

Tredici era riuscito benissimo a parlare di argomenti delicati come il bullismo, il suicidio, lo stupro e la depressione, e l’aveva fatto costruendo una storia che colpiva dritta al cuore, fatta di personaggi imperfetti, vittime e carnefici allo stesso tempo (a partire dalla stessa protagonista), che davano alla narrazione una dimensione molto interessante. La serie era una vera e propria denuncia sociale e si schierava a favore degli oppressi, dando coraggio e voce a chi una voce non l’aveva. Nonostante i temi molto forti e i toni estremamente drammatici, 13 Reasons Why dava un senso di speranza e di giustizia, facendosi portavoce di un messaggio molto importante e positivo: accorgersi del malessere di chi ci sta incontro e chiedere e prestare aiuto a chi ne ha bisogno prima che sia troppo tardi. Il finale della prima stagione, con Clay che chiedeva a Skye di uscire, era perfettamente in linea con lo spirito della serie, che mostrava che era possibile stare meglio e tornare a vivere nonostante i traumi e le sofferenze.

Tutto ciò che rendeva Tredici unica nel suo genere è andato perdendosi a partire dalla seconda stagione, che ha annullato tutti i messaggi positivi di cui si faceva portavoce, cancellando lo scopo e l’importanza della serie. C’erano molti modi per continuare la storia, mostrare i protagonisti venire a patti col senso di colpa per la morte di Hannah, dare giustizia alle vittime di violenza, ma gli sceneggiatori hanno optato per una serie di svolte narrative e colpi di scena atti al solo scopo di intrattenere e scioccare lo spettatore. La scrittura è andata via via peggiorando, con una terza e una quarta stagione che hanno tentato di umanizzare personaggi senza possibilità di redenzione, come Bryce e Monty. Ma è proprio con la stagione finale che la serie tocca il suo punto più basso. Ecco tutto quello che è andato storto nella quarta stagione di 13 Reasons Why.

13 Reasons Why: gli errori della quarta stagione di Tredici

1. L’assenza di una trama portante nella quarta stagione di Tredici

La premessa della nuova stagione era la ricerca della verità sulla morte di Bryce e la presunta colpevolezza di Monty. Nei primi episodi, infatti, Winston decide di trasferirsi alla Liberty High per scoprire la verità. Come lui, anche altri personaggi (di cui ignoravamo totalmente l’esistenza) cercano di capire cosa è davvero accaduto nella notte della morte di Bryce, ma si tratta di un plot che rimarrà silente per la maggior parte degli episodi e che poi verrà definitivamente abbandonato, così come il resto delle storyline messe in scena: il disturbo dissociativo di Clay, l’alcolismo di Zach, i sensi di colpa di Jessica e Alex non avranno il sufficiente spazio e rimarranno solamente accennati e mai approfonditi, a favore di episodi autoconclusivi lontani anni luce dallo spirito e dell’organicità della prima stagione. La bellezza di Tredici stava nel fatto che non era un semplice teen drama, ma aveva qualcosa in più. La quarta stagione, invece, porta sullo schermo una serie di cliché tipici del genere che non si sposano affatto con lo spirito della serie.

2. Tematiche interessanti sviluppate e messe in scena in malo modo

La quarta stagione di Tredici sarebbe stata decisamente più semplice da seguire se fosse stata sviluppata semplicemente attorno al crollo emotivo di Clay e al tentativo di guarire e andare avanti. Non solo, dicevamo, lo spazio riservato a questo delicato topic è davvero troppo poco per una migliore trattazione, ma anche la sua messa in scena non è delle migliori e lascia alquanto a desiderare: le visioni e i sogni fin troppo vividi di Clay non riescono a trasmettere il senso di disagio e angoscia che prova il protagonista, e risultano piuttosto grotteschi. Ma non solo i demoni interiori di Clay vengono rappresentati dai fantasmi delle persone morte, anche i sensi di colpa della maggior parte degli altri personaggi saranno presentati allo stesso modo. Una scelta che, diciamolo, mette in ridicolo l’intera stagione.

3. Shock Value

Durante la prima stagione, la serie era stata criticata per aver mostrato scene troppo grafiche e violente. La verità è che quelle stesse scene erano necessarie alla narrazione: vedere il dolore di Hannah nel momento in cui si toglie la vita doveva far male, doveva essere una sorta di monito per gli spettatori, dare il messaggio che il suicidio è doloroso così come la strada che che vi ci conduce. Sentire e vedere la sofferenza di Hannah era d’obbligo da questo punto di vista. Ma dalla seconda stagione in poi, le sequenze più grafiche e le storyline più brutali (a partire dallo stupro di Tyler) non hanno più avuto uno scopo, se non il puro e semplice intrattenimento volto a creare momenti controversi. Tutte le morti e la violenza fisica e psicologica mostrate rimarcano la volontà degli autori di creare plot twist che non avessero un particolare scopo narrativo, se non quello di scioccare lo spettatore. Non fa eccezione, da questo punto di vista, la quarta stagione, il cui finale mette in campo un dramma forzato e assolutamente non necessario.

4. Non c’è speranza

E questo ci porta al finale di serie e all’ultimo punto da analizzare. Per l’episodio conclusivo, infatti, gli sceneggiatori di Tredici hanno scelto di uccidere Justin, il personaggio per cui tutti gli spettatori facevano il tifo. Distruggerlo emotivamente, fisicamente e mentalmente è stata la peggior scelta possibile, perché ciò che viene fuori è l’idea che, anche provandoci in tutti i modi, per chi è troppo danneggiato semplicemente non c’è possibilità di salvezza. Vedere Justin diplomarsi e andare al college insieme a tutti i suoi compagni, farlo sentire finalmente amato e far vedere che è possibile riprendere in mano le redini della propria vita avrebbe lanciato un messaggio di speranza, molto più adatto al tipo di serie.

La quarta stagione di 13 Reasons Why avrebbe potuto fare ammenda per le scelte sbagliate delle due stagioni precedenti, ma così non è stato: più la narrazione procedeva, più le cose precipitavano. Un vero peccato per una serie iniziata così bene sia andata a finire così male, e resterà sempre l’amaro in bocca per questo. Perciò consigliamo vivamente la visione prima stagione, che è davvero un must see, ma non delle successive.

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Pubblicato da Manuela Greco

Classe ’92, appassionata di serie TV, film, libri, anime, manga e di tutto ciò che è nerd da che ne ha memoria.

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