La terza stagione di 13 Reasons Why è controversa6 min di lettura —

La terza stagione di 13 Reasons Why è controversa — 6 min di lettura —

13 Reasons Why era una serie che nasceva come denuncia sociale, affrontava molto bene e con gran sensibilità problemi come il bullismo e il suicidio, la cultura dello stupro e l’importanza del consenso. Cercava di dare messaggi forti, ma molto positivi.

Tredici mostrava che è importante cogliere i segnali prima che sia troppo tardi, che tutto conta, che anche qualcosa che può sembrare frivolo e superficiale può far male, che ogni azione ha delle conseguenze, che bisogna chiedere e prestare aiuto, che il suicidio (nonostante fosse il tema centrale della serie) non è la soluzione, perché è doloroso, difficile e duro per chi muore e per chi rimane.

Tutta la positività della prima stagione va in netto contrasto con la terza, che si fa portavoce di messaggi sbagliati e controversi.

Uno degli argomenti più problematici del terzo ciclo di episodi è l’arco di redenzione dato al personaggio di Bryce, troppo semplice e venuto fuori dal nulla. La redenzione è possibile, ma l’avevamo già visto con gli altri personaggi della serie, non era necessario cambiare così tanto Bryce. Dovevano essere presenti più momenti in cui ci veniva mostrato cattivo come nelle prime due stagioni. E per lo meno era necessario dare un’origine al cambiamento di Bryce: sarebbe bastato un accenno a un terapista per spiegare la voglia e il desiderio di essere una persona migliore.

È interessante dare una certa dimensione a un personaggio, far vedere che il mostro non è per forza sempre riconoscibile, ma può nascondersi anche dietro a qualcuno all’apparenza buono e gentile. È importante mostrare che non è tutto bianco o nero, che non esiste il bene o il male, ma che ci sono sempre delle sfumature nel mezzo. Ed è necessario far vedere che siamo il prodotto di quello che viviamo, che siamo la componente di tutte le persone che incontriamo, proprio come i due villain della serie: a Bryce non è stato mai insegnato cosa fosse giusto e cosa sbagliato mentre Monty ha conosciuto solo e soltanto la violenza di un padre anaffettivo e omofobo.
Ma alcuni personaggi un arco di redenzione come quello dato a Bryce non se lo meritano. È giusto far vedere che si può migliorare, o per lo meno provarci, ma non è giusto far diventare uno stupratore seriale quasi un angelo custode per tutte le persone che ha ferito.

Ad ogni modo, in tutta la stagione il messaggio sembrava essere molto chiaro, ovvero che la vendetta è sbagliata, uccidere è sbagliato, che anche una persona orribile come Bryce, se assassinata, diventa una vittima, che va bene piangerla perché si tratta pur sempre di un essere umano, di un figlio per qualcuno, di un amico, di un fidanzato.
Nel finale, invece, il messaggio viene totalmente ribaltato e non solo sembra suggerirci che va bene la vendetta personale, ma che è anche giusto coprire un omicida solo in virtù dell’amicizia. Cosa che viene fatta non una, ma ben due volte, sia con Tyler nel primo episodio, sia con Alex e Jessica nel finale.
Così Monty diventa capro espiatorio dell’omicidio di Bryce perché aveva precedentemente commesso atti riprovevoli. Sembra quasi che la morale della storia sia che chi è colpevole di qualcosa lo possa diventare per tutto il resto. È estremamente sbagliato e perverso. Montgomery doveva pagare per quello che aveva fatto, ma non per un omicidio che non aveva commesso.
Ed è davvero triste che anche le forze dell’ordine lascino che venga infangato il nome di chi neanche può più difendersi.

Il finale, inoltre, elimina tutto quello che di positivo era stato costruito nella seconda e nella terza stagione: se dopo le cassette di Hannah Baker i ragazzi si erano sentiti in colpa e avevano fatto di tutto per cercare di diventare persone migliori, l’episodio conclusivo distrugge anche tutto il lavoro fatto sui personaggi, che ritornano a macchiarsi di crimini ancora più gravi. Su tutti Jessica, che si faceva portavoce di una campagna contro la violenza e doveva quindi incarnare valori positivi, da vittima diventa carnefice.
E se parliamo di personaggi, quelli che si sono involuti maggiormente sono, purtroppo, Clay e Alex, proprio quelli che, oltre a Tony, erano sempre stati caratterizzati da elementi positivi.
Clay nelle prime due stagioni cercava la verità e lottava per avere giustizia, era la bussola morale della serie, rappresentava il bene in una società marcia e malvagia, e ora tutta la sua caratterizzazione è stata eliminata perché anche lui si rende complice di un omicidio.
Ma è Alex il personaggio che ne esce peggio: era così sensibile da arrivare a tentare il suicidio per quanto si sentiva in colpa per quello che era successo a Hannah, e nella terza stagione lo ritroviamo arrabbiato, insensibile, incoerente, e sopra ogni cosa capace di commettere un omicidio, di infierire su una persona che neppure poteva difendersi, e neanche minimamente pentito di aver compiuto l’atto più violento che si possa compiere contro un essere umano.

Un altro aspetto negativo della stagione riguarda le relazioni romantiche tra i personaggi. L’amore viene rappresentato solo da relazioni malsane e controverse. Sia Monty e Winston, sia Ani e Bryce, sia Jessica e Justin sono incastrati in relazioni tossiche, che non possono portare a nulla di positivo. Winston viene prima usato e poi massacrato di botte da Monty, ma torna da lui, lo accoglie a braccia aperte, senza neanche un ripensamento, senza pensare che potrebbe essere vittima della violenza del ragazzo ancora una volta, e nel finale ne piange la scomparsa; Ani accetta di andare a letto con Bryce pur conoscendo il suo passato e quello che ha fatto a decine di ragazze come lei, pur avendo avuto un assaggio dell’indole aggressiva del ragazzo; Justin e Jessica si fanno male a vicenda continuando una relazione che non può avere futuro, con lui che porterà il peso della colpa per il resto della sua vita per non averla protetta da Bryce, e lei che non potrà mai fidarsi o sentirsi al sicuro in sua compagnia.

Forse l’intenzione era di mettere in scena gli errori adolescenziali, la mancanza di giudizio, ma a volte sarebbe opportuno dare anche un segnale, mettere in chiaro che alcuni comportamenti e scelte sono sbagliati e fanno male.

Allo stesso modo sarebbe stato necessario dare importanza alla terapia. I ragazzi protagonisti sono feriti e spezzati, hanno vissuto traumi di ogni genere, una serie di esperienze fortemente drammatiche. Non basta rivolgersi agli amici o a un consulente scolastico, ma bisogna avere un aiuto professionale per poter stare meglio.

Una serie come Tredici, che nasce con uno scopo e non come semplice intrattenimento, non può lanciare un messaggio così contorto. Sembra quasi che abbiano volontariamente creato una stagione controversa per il gusto dello shock value.

È anche un peccato perché in alcune scene, come la bellissima sequenza dei sopravvissuti che urlano a gran voce il loro coraggio, sembrava che lo spirito della serie fosse quello della prima stagione, peccato che poi la direzione della stagione sia stata tutt’altra e che tutto quello che di positivo c’era nella serie sia stato completamente stravolto.

Resta l’amaro in bocca per una serie che era partita benissimo, era interessante, potente, commovente, mai banale e vicina alla realtà. Resta il rimpianto di non essersi fermati con la prima stagione, o di non aver sviluppato meglio il margine che il finale del primo ciclo lasciava per una continuazione.

L’unica speranza è che la quarta stagione, che sarà l’ultima, rimedi in parte ai problemi della terza.

Ti è piaciuto questo post?

Clicca per votare!

Media dei voti 5 / 5. Voti totali: 1

Ancora nessun voto. Vota per primo!

Seguici sui social!

Pubblicato da Manuela Greco

Classe ’92, appassionata di serie TV, film, libri, anime, manga e di tutto ciò che è nerd da che ne ha memoria.

2 Risposte a “La terza stagione di 13 Reasons Why è controversa6 min di lettura —

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *