Il finale di Better Call Saul fa della prevedibilità il suo punto di forza2 min di lettura —

Il finale di Better Call Saul fa della prevedibilità il suo punto di forza — 2 min di lettura —

Il finale di Better Call Saul non segna solo il capolinea per la serie con protagonista Bob Odenkirk, ma per l’intero universo di Breaking Bad, che ci ha accompagnati per più di un decennio imponendosi nel panorama televisivo come pietra miliare della serialità a stelle e strisce.

E senza incorrere in inutili operazioni puramente nostalgiche, l’ultimo episodio di Better Call Saul celebra storia e personaggi figli di Vince Gilligan ricordandoci ancora una volta, per l’ultima volta, la grandezza del franchise.

Se ci pensiamo, il finale della serie dedicata a Saul Goodman è l’immagine speculare di quello di Breaking Bad: se in Felina Walter White trovava una sorta di redenzione nel sacrificio e ammettendo per la prima volta ad alta voce di essere diventato Heisenberg per sé stesso e non per la sua famiglia, in Chiamavano Saul il protagonista tenta di fare ammenda confessando i propri misfatti di fronte alla legge rendendosi, in questo modo, degno dell’amore di Kim.

È così che Saul Goodman si riappropria dell’identità di Jimmy McGill e fa i conti con i propri rimpianti (concetto cardine del finale di serie). L’avvocato, che è stato Slippin’ Jimmy, Saul Goodman e infine Gene Takovic, smette per la prima volta tutte le maschere indossate e torna a essere semplicemente Jimmy, affrontando per la prima volta non solo il rimorso di aver lasciato andare Kim, ma anche il senso di colpa per aver indotto suo fratello Chuck al suicidio (non è un caso che il flashback dedicatogli il maggiore dei McGill stia leggendo La macchina del tempo, di H.G. Wells, richiamo alla scena d’apertura dell’episodio, in cui Jimmy e Mike discutevano della possibilità di tornare indietro nel tempo per rimediare agli sbagli commessi).

In un mondo come quello creato da Vince Gilligan, in cui chi si macchia di così tanti errori non può restare impunito, al protagonista viene riservato l’unico finale possibile: terminare i suoi giorni rinchiuso in un carcere.

Se ci pensiamo, dopotutto, non avrebbe potuto avere un destino diverso. Se anche Jimmy avesse scontato solo quei sette anni e mezzo inizialmente accordati, una volta libero sarebbe stato un reietto: senza più la possibilità di esercitare la professione di avvocato, lontano da Kim e impossibilitato a truffare ancora, avrebbe vissuto ai margini della società.

Nella conclusione agrodolce, invece, seppur prigioniero in una cella, Jimmy è un eroe tra i detenuti e degno del rispetto di Kim.

Better Call Saul così insegna che nella linearità può esserci una tale potenza narrativa da non esserci il bisogno di cercare il colpo di scena a tutti i costi, che un finale può essere tanto prevedibile quanto appagante, e che il viaggio dei personaggi è ben più importante di una conclusione polarizzante che faccia discutere il fandom per anni.

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Pubblicato da Manuela Greco

Classe ’92, appassionata di serie TV, film, libri, anime, manga e di tutto ciò che è nerd da che ne ha memoria.

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